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Recanati e la casa di Leopardi
Vive nel culto di un eccelso poeta come Giacomo Leopardi, e nel ricordo, meno remoto e forse più intimamente affettuoso, del tenore Beniamino Gigli. Recanati ha avuto momenti di storia importante nell’Alto Medioevo e nei secoli successivi: il Comune sorse nel XII secolo per necessità di difendere gli abitanti dalle scorrerie degli Osimani. Fu Federico II a conferire alla città il diritto di costruire un porto (l’attuale Porto Recanati). Conobbe le lotte tra Guelfi e Ghibellini. Unita la sede episcopale a quella di Loreto, nel 1952, l’importanza del centro scemò rapidamente.
Piazza Leopardi reca al centro il monumento al grande Giacomo, eretto nel centenario della sua nascita (1898) dal Panichi. La Torre del Borgo è sulla sinistra: risale al XII secolo, è discretamente conservata e reca in cima merli ghibellini. Di bell’effetto scenografico il largo, imponente Palazzo Comunale al cui piano superiore è visibile la Pinacoteca, fondata sempre nel 1898 e ricca di pezzi eccezionali.
Sulla piazza sorge anche la Chiesa di San Domenico, romanica e costruita nel 300. L’intenditore di cose d’arte non potrà trascurare di visitare il Museo Diocesano. Naturalmente una visita a Palazzo Leopardi al n. 5 di Via Antici, più che un evento culturale, costituisce un percorso dello spirito. Da segnalare la presenza del noto Centro di studi leopardiani accanto al Palazzo della famiglia: esso è fornito di una biblioteca e possiede, in microfilm o copia, tutti i manoscritti del grande recanatese.
GIACOMO LEOPARDI
(POETA; nato a Recanati il 29 giugno del 1798, morto a Napoli il 14 giugno 1837)
Figlio primogenito del Conte Monaldo e di Adelaide dei marchesi Antici, soffrì fin da piccolo per la mancanza d’affetto da parte dei genitori, soprattutto di quello della madre, donna dal carattere arcigno e bigotto. D’indole molto sensibile e dalla precoce personalità, mostrò fin dalla tenera età un forte amore per lo studio, che poté in parte appagare nella ricca biblioteca paterna. Già a tredici anni conosceva perfettamente il latino, il greco e l’ebraico, lingue che aveva appreso da autodidatta. In questo periodo, si dedicò anche a numerose traduzioni di poesie, favole, sermoni, tragedie, epigrammi. Sotto la guida del Giordani, venne indirizzato al campo dell’erudizione filologica, anche se ben presto emerse nel giovane Leopardi una spiccata inclinazione letteraria. Grazie al Giordani, cominciò a essere apprezzato anche fuori dalla cerchia familiare, in particolare a Milano e a Roma. Intanto, lo studio accanito e senza soste cominciò a minacciare la salute del giovane, arricchendo però in modo determinante la sua personalità di pensatore e poeta. Tra il 1818 e il 1820 scrive le canzoni “All’Italia”, “Sul monumento di Dante” e “Ad Angelo Mai”. Nel 1819 tentò una prima fuga da Recanati, spinto dal clima di incomprensione venutosi a creare con i suoi. Solo successivamente poté recarsi a Roma per sei mesi, ospite dello zio. Le sue speranze in merito alla possibilità di trovare un impiego, diventarono mere illusioni e, pieno di sconforto, fu costretto a far ritorno a Recanati. Qui iniziò a scrivere lo “Zibaldone”, dal quale scaturisce la prima idea delle “Operette morali”, che scriverà nel 1824. L’anno successivo si reca a Milano, ospite e stipendiato dell’editore Stella, e poi si trasferisce a Bologna. Non riuscendo però ad ottenere l’ambito posto statale, torna di nuovo a Recanati, dove si sente ormai straniero. Nel 1827 si reca nuovamente a Bologna e poi, chiamato dal Giordani, a Firenze, città che esercita su di lui un forte fascino e dove incontra personalità di grande spicco, come il Manzoni. Nel periodo fiorentino conobbe e amò, non corrisposto, Fanny Targioni Tozzetti (Aspasia), uno dei tanti amori infelici della sua vita. Nel 1830 riesce a far pubblicare i Canti ed è in questo periodo che conosce Antonio Ranieri la cui amicizia lo accompagnerà per il resto della sua vita. Si recherà infatti da lui, a Napoli, nel 1833, per riprendersi dalla lunga malattia fisica, che aveva aggravato ancor più l’infelicità del poeta, impedendogli persino di leggere e scrivere. Nel 1836, il Leopardi si trasferisce con l’amico in una villetta del Vesuvio, ma dopo un momentaneo miglioramento le sue condizioni fisiche si aggravano definitivamente e il 14 giugno si spegne, amorevolmente assistito dall’amico e dalla sorella minore. Fu sepolto in San Vitale a Fuorigrotta e nel 1898 la sua tomba fu dichiarata monumento nazionale. Tra le opere cosiddette minori del Leopardi ricordiamo, oltre al già citato Zibaldone, l’ “Epistolario”, i “Dialoghi”, liriche e canti, inni patriottici, nonché i “Paralipomeni alla Batracomiomachia”, ai quali lavorò fino ai giorni precedenti la sua morte.
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